mercoledì 27 giugno 2012

Compagni di bivacco.


Nelle foreste alle pendici del massiccio dei Monti Bronzei, a nord di Solian, mentre eravamo sulle tracce di un gruppo di predoni ghoul, Gmor ed io avemmo degli inaspettati compagni di bivacco: una lepre maculata e un parrocchetto crestanera. La lepre sembrava molto incuriosita da noi  e si teneva al limitare del nostro bivacco, fissandoci in maniera quasi fastidiosa. Gmor cercò più volte di catturarla per farmi provare una ricetta di “lepre alla brace” che aveva letto su uno dei suoi libri di cucina esotica, ma non ci fu nulla da fare. Il furbo animale si muoveva più rapido di un fulmine e si ripresentava ogni volta in diversi punti , ora di lato, ora dietro di noi, mettendosi tranquillamente a sedere e fissandoci con i suoi luminosi occhi verdi.   Provammo anche a dargli da mangiare ma rifiutò ogni offerta di cibo. Sembrava gli interessasse solo tenerci d’occhio. A volte, batteva aritmicamente la zampa per terra, come a lanciare dei segnali. Questo animale vive in branchi numerosi che si spostano di continuo; probabilmente, quello a cui apparteneva stava migrando da una zona di pascolo all’altra e la nostra lepre segnalava la nostra presenza ai compagni.  Una brava sentinella! Il parrocchetto, invece, era molto più socievole, forse fin troppo. Grande poco più di una mano aperta, era estremamente rumoroso; ancora non  mi capacito di come un animale così piccolo potesse emettere suoni così potenti. Quando iniziava a cantare, la foresta attorno si zittiva per un istante. Era particolarmente affascinato dal canto di gola in cui volle esibirsi Gmor, con mia grande gioia. Accompagnava le armoniche acute della diplofonia orquina con gorgheggi sorprendentemente assonanti. Si prese talmente confidenza che volle pulire i denti di Gmor dopo il pasto. La vista di Gmor con la bocca spalancata e il parrocchetto infilato dentro a beccare i rimasugli di cibo era una visione così disturbante che non volli ritrarla sul mio taccuino. Il crestanera si rivelò molto utile come vedetta. A ogni animale di grossa taglia che si avvicinava al nostro bivacco, si metteva a volare in tondo lanciando stridi altissimi e mettendoci in guardia. Ci avvisò anche dell’approssimarsi di un gruppo di ghoul, che cercava di sorprenderci nel sonno e di cui avemmo ragione in poco tempo. Il giorno dopo, ci accompagnò per tutto il tragitto fino al limitare della foresta, per poi salutarci con trilli che ricordavano in maniera sorprendente la melodia del canto di Gmor della notte precedente.

venerdì 22 giugno 2012

Il Burlone


Questa gigantesca testa di granito apparve una mattina, dopo una furiosa tempesta di sabbia, nel Vhâcondàr settentrionale. Ero in perlustrazione in pieno deserto con alcune guide della satrapia berbera degli Alahikineti, tra l’oasi di Karmuti e la città di Alahikin. Fummo sorpresi da una tempesta in piena notte e ci riparammo in un “budello di drago”, come lo chiamano i nativi: un pozzo carsico strettissimo che si apre in profondità in una cavità naturale. Passata la furia degli elementi, ci accorgemmo che il vento aveva spostato intere dune di sabbia e rivelato questo sorprendente vestigio di una civiltà scomparsa. Gli Alahikineti sono abituati a questo genere di apparizioni; infatti chiamano la parte di deserto in cui ci trovavamo  “Ir’Elerkir”, il burlone, perché fa apparire e scomparire a suo piacimento colonne di pietra, sculture, statue gigantesche e, dicono i più fantasiosi, intere città. Ho voluto subito riprodurre l'enorme testa, facendo posare accanto una delle guide per rendere bene le sue proporzioni colossali. Le tempeste di sabbia ci tormentarono ancora per giorni ma già la mattina dopo la testa era scomparsa sotto una gigantesca duna, come se non fosse mai esistita. Il "burlone" si era esibito nell'ennesimo gioco di prestigio.

giovedì 14 giugno 2012

La valle delle teste


Quando percorro la grande Piana dei Ciclopi, nell'entroterra a nord del Awrasùhre, dove in un remoto passato  si svolsero le più cruenti battaglie delle Guerre di Unificazione, mi piace passare per la "Valle delle teste", come la chiamano i pastori locali. È un posto ameno, con dolci declivi erbosi e ampi pascoli dove, sparse apparentemente a caso, spuntano enormi teste con la bocca spalancata, dando l’impressione che gruppi di giganti urlanti stiano affondando in quel mare di erba e annaspino in cerca d’aria. Mi hanno sempre fatto grande impressione, quelle teste, sin da bambino, quando mio padre mi portava in queste lande per insegnarmi a cavalcare e a tirare con l’arco. Nessuno sa chi abbia le abbia scolpite e a quale scopo; a quanto ne so, nessuno ha mai neanche provato a scavarvi intorno, per scoprire se attaccati a quelle teste, sepolti sotto decine di metri di terra, ci siano o meno dei corpi colossali. Neppure mio padre sapeva chi fossero i creatori di quelle statue; c’erano sempre state, sin da quando i suoi nonni erano fanciulli. Per questo ogni volta si inventava una storia nuova per spiegarmi le origini di quelle assurde teste urlanti. La mia preferita era questa: un tempo, ancora prima dell’unificazione dell’Impero da parte di Vrlam Erondàr, prima persino della supremazia dell’uomo sul mondo conosciuto, le “Quattro Razze” si affrontavano in guerre senza fine, devastando la terra e avvelenando l’aria. Gli orchi stanarono dalle montagne del Varliendàr orde di Troll, costringendoli a combattere per loro. L’avanzata di quegli esseri di pietra era irresistibile; essi calavano dalle montagne di notte, annientavano le armate degli uomini e degli elfi, mentre i nani si rintanavano nelle gallerie delle loro miniere. Prima che sorgesse l’alba i troll scavavano enormi buche nella terra e vi si seppellivano per sfuggire ai mortali raggi del sole. Un giorno, un giovane mago, avendo individuato il luogo dove i troll si erano sepolti, praticò un incantesimo oscurando il sole sopra l’intera zona e ingannando i troll che, credendo sopraggiunta la notte, sbucarono dal terreno per essere istantaneamente pietrificati dalla luce diurna. “Divennero statue di pietra – diceva mio padre -  senza nemmeno avere il tempo di metter fuori tutta la testa!” Mentre pensavo a quella storia, un piccolo Basilisco Vermiglio si posò su una delle sculture di fianco a me e si mise ad agitare le ali lamellari facendole baluginare al sole e facendole minacciosamente stridere con rumore metallico. Mi presi giusto il tempo di un veloce ritratto e mi allontanai: uno stormo di quei rettili volanti può fare a pezzi un uomo in pochi minuti, sminuzzandolo con le ali affilate come rasoi. Lo lasciai lì, rumoroso e brillante, a fare la guardia ai troll pietrificati.

domenica 3 giugno 2012

Mercante



Sulla strada per Vàhlendàrt, lungo il Grande Anello, ho incontrato questo ricco esponente della Gilda dei Mercanti, mentre supervisionava il lavoro dei suoi operai che, come è compito della corporazione, riparavano il manto stradale dissestato. Ostentava un atteggiamento marziale che poco si addice a un mercante; il suo cavallo, un bel roano del Novelùrendàr,  era addirittura bardato con una frontiera e un coprinuca d’acciaio, che facevano sudare inutilmente la povera bestia. Il mercante ha posato volentieri per me; si capiva subito che era un ometto vanitoso a cui piaceva far mostra dei suoi abiti raffinati e dei suoi gioielli. In particolar modo mi ha colpito la sua sciabola, un bellissima lama di Elleysera, con elsa e impugnatura tempestate di pietre preziose e ricoperte da una lamina d’oro puro. Un’arma da parata, non adatta al combattimento; di certo, il simpatico ometto che la portava non l’aveva mai usata in tenzone.