martedì 30 ottobre 2012

La Cocozza Colossa



Attorno al Mare della Brezza, tra le grandi vie di comunicazione del Piccolo e Grande Anello, si estende l’immensa Cintura delle Messi, il “granaio dell’Impero”, una sterminata area coltivata dove cresce la grande parte delle derrate alimentari che nutrono le genti dell’Erondàr. La perizia degli agronomi erondariani ha creato nel corso degli anni innumerevoli incroci fertili tra specie vegetali e dato discendenza stabile a nuovi tipi di frutta, legumi, piante, radici e tuberi mangerecci, anche sorprendenti. Il mio preferito tra questi ibridi vegetali è senz’altro la Cocozza Colossa. Si tratta di una cucurbitacea di grandi dimensioni che, giunta a maturazione, produce dei gas non tossici al suo interno che la fanno levitare, come l’Aria Leggera con cui si riempiono i palloni dei nuvolanti imperiali. Non è raro vedere interi campi di questi ortaggi maturi  che si muovono pigramente a mezz’aria, spinti dalla brezza o che scendono in massa dai declivi, dopo essersi liberati dai pampini e dai tralci che li trattenevano al terreno. I gas prodotti da questa zucca e che permettono all’ortaggio di levitare, sono vapori molto inebrianti, come le bevande fermentate, e spesso i raduni per il raccolto si trasformano in feste sfrenate che, in molte culture locali, sono divenuti dei veri e propri riti agrari di carattere orgiastico. La Sagra della Cocozza Colossa di Fruhgendàrt è famosa per gli eccessi compiuti dai partecipanti in preda all’ebbrezza. Uno dei momenti topici di questa festa popolare è la Corsa delle Cocozze, evento spettacolare durante il quale i giovani locali spingono le zucche giù dall’alta collina dove sorge la città verso il mare sottostante e le cavalcano a rompicollo in una gara senza esclusione di colpi. I “cavalieri” delle zucche che riescono a raggiungere il mare, vengono nominati Domatori della Cocozza e hanno diritto di scelta tra le ragazze intervenute, con le quali si accompagneranno per il resto della serata. Le zucche restano a galleggiare sull’acqua, a decine, e al tramonto vi vengono praticati dei fori per far fuoriuscire il gas che viene incendiato, provocando splendidi fuochi colorati e spettacolari deflagrazioni che segnano il culmine della festa. Fortemente sconsigliato portare le proprie figlie, giovani pulzelle o ragazze da marito a questa sagra… a meno che non si voglia allargare la famiglia in tempi brevi.

lunedì 8 ottobre 2012

Fiori nel deserto.



Non amo recarmi nelle zone desolate del Vhâcondàr, il “Paese Vuoto” che si estende ai margini meridionali dell’Impero. Si tratta di una sterminata distesa desertica che separa l’Erondàr dai misteriosi ed esotici Regni Meridionali. Centinaia e centinaia di miglia di deserti sabbiosi e altopiani rocciosi calcinati dal sole; un ambiente arido e ostile dove è impossibile sopravvivere senza l’ausilio di una guida indigena che conosca i segreti di Er’el Atant’ar, “il Martello del Sole”, come lo chiamano le popolazioni locali. Mi trovavo su un altopiano a ovest di Ir’Elerkir, sulle tracce di una banda di predoni berberi che avevano compiuto delle scorrerie nel Suprendàr; dei predoni nessuna traccia, in compenso incappammo in una femmina di Rhoyiik con due cuccioli, che occupavano l’unico posto all’ombra nel raggio di decine di miglia, sotto un alto esemplare di “Pino del Deserto”. La mia guida alahikineta mi sconsigliò vivamente di andare a disturbare l’animale, poiché le femmine di questa specie sono terribilmente aggressive quando si tratta di difendere i propri piccoli e nessuno sano di mente vorrebbe fare infuriare un uccello carnivoro alto il doppio di te e con artigli che potrebbero facilmente squartare un cavallo. Mi trattenni giusto il tempo di un veloce schizzo sul mio diario di viaggio. Verso la fine di quella infruttuosa giornata, la guida avvistò quelli che sembravano essere degli alti pali piantati nel terreno; si trattava di un gruppo di Ir’Alca Te’nei, letteralmente “Albero che sazia” o T’ai Sen’Ehn, “l’Amico del viandante”, nel dialetto di Elleysera. Queste altissime piante grasse hanno la proprietà di fiorire istantaneamente quando il loro fusto viene intaccato o inciso, producendo grossi fiori bianchi e carnosi, zuccherini e molto nutrienti. Si tratta di una strategia di difesa della pianta estremamente subdola e crudele: la prima fioritura blandisce l’aggressore, fornendogli ottimo cibo in quantità; se l’attacco continua, la seconda fioritura sviluppa un potente veleno che solitamente non lascia scampo al malcapitato. La mia guida lo sapeva bene; cucinò i primi fiori sulla pietra e con quelli successivi fabbricò il veleno per le proprie frecce. Sarò stato cotto dal sole e riarso dalla sete, ma quelle dolcissime frittelle vegetali sono state tra le cose più buone che abbia mai mangiato.