domenica 8 dicembre 2013

Keyra

Questo è un ritratto di Keyra, la figlia primogenita di Garu-Dah, il capo della tribù dei Mordi Sabbia, che prospera lungo la costa meridionale della grande isola degli Orchi, in un grande villaggio per metà costruito sulle scogliere e per l'altra metà nelle grotte al loro interno. Secondo le convenzioni sociali degli orchi, le femmine sono libere di decidere fin da piccole se occuparsi degli uomini, del marito, della casa e della tribù o se divenire guerriere. Il giorno della scelta avviene al compimento degli otto anni. Le femmine che abbracciano l'arte della guerra vengono addestrate insieme ai maschi e con loro vanno in battaglia senza differenza alcuna, se non che nessuna donna, nemmeno se figlia di un orco di alto rango, può divenire capo o condottiero. Keyra rappresenta una eccezione. Durante la “battaglia della spiaggia nera" (una spiaggia di sabbia vulcanica che si estende per dieci leghe all'estremo est dell'Isola degli Orchi), quando la tribù dei Mordi Sabbia si trovò ad affrontare uno attacco massiccio di Ghoul erranti provenienti dalle foreste interne in cerca di territori da depredare, Keyra si ritrovò isolata in battaglia insieme ad un gruppo di femmine e si vide costretta a prendere il comando delle compagne per coordinare la difesa del gruppo. Le sue scelte strategiche furono eccellenti, tanto che non solo portò le compagne fuori dall'accerchiamento nemico, ma condusse l'attacco finale guidando anche molti maschi orchi alla vittoria. Keyra venne eletta capo battaglia dal consiglio degli Anziani e messa al comando del primo gruppo di "orchesse guerriere” mai creato. L'ascia che Keyra impugna è un'arma di sua invenzione che viene usata da tutte le orchesse guerriere. E' dotata di una impugnatura al termine dell'asta in modo da poter essere usata con una mano e fatta mulinare attorno a sé con precisi e letali movimenti ad ampio raggio, assecondati dalla rotazione di tutto il corpo. Dagli umani, questa tecnica è chiamata con scherno “ascia trottola”... ma chi l'ha vista in azione ha perso la voglia di ridere. Keyra ha avuto un solo Orco che è stato in grado di conquistare il suo cuore indomito. Il nome di quell'Orco è Gmor Burpen, che si vanta di aver lasciato a Keyra, negli anni, una vera fortuna come “dote della tenda”.

giovedì 7 novembre 2013

Le orchesse


Le orchesse formano un pilastro fondamentale nella società degli orchi. Poche di loro si uniscono ai maschi per la caccia e la guerra, anche se alcune formidabili guerriere sono entrate nelle leggende erondariane. Esse si occupano, invece, delle abitazioni e della prole, che gestiscono collettivamente con grande energia e piglio autoritario; non esistono nuclei familiari, anche se la genealogia viene tenuta in gran conto dalla tradizione orquina, e i bambini vengono cresciuti ed educati in grandi gruppi gestiti da un numero imprecisato di “madri”, con grande affetto e senso materno ma anche inflessibile disciplina. Non esistono contratti matrimoniali veri e propri, tranne che per alcuni capoclan i quali arrivano a creare delle dinastie che portano il loro nome. L'orchessa, quando entra in estro, si allontana dalla comunità e monta la sua “tenda del sudore” in località isolate, dove attende l'arrivo dei maschi richiamati dagli effluvi dei legni profumati e delle erbe aromatiche che lei brucia nella tenda. Terminato l'accoppiamento, che può durare diversi giorni, solitamente l'orchessa deruba il maschio di ogni avere e lo abbandona nella tenda, stordito dai fumi e dal liquore di malto. Il bottino così raccolto, chiamato tradizionalmente la “dote della tenda”, viene quindi donato a tutta la collettività. Le orchesse si rasano il capo e si tagliano ritualmente i capelli; usano invece lasciare crescere il folto vello ascellare e inguinale, che viene raccolto in corte e robuste trecce. Di un'orchessa di facili costumi – ovvero di una che monta la tenda del sudore più volte al mese – si dice che “si fa afferrare per la treccia”.

martedì 27 agosto 2013

Nani Guerrieri.


Incontrai questo gioviale Nano lungo la strada che, da Solian, conduce a Vetwadàrt, la Città Vecchia imperiale. Era diretto al distretto minerario di Gøtcha-kun, le “caverne del fango”, alle pendici del Kârss. Si fermò volentieri a fare due chiacchiere con me, cosa davvero strana per un Nano, e accettò con entusiasmo di posare per un veloce ritratto. Era un Mastro Ferraio, un fabbro, e portava la caratteristica protezione al braccio sinistro, composta di lamine sovrapposte di algěfehre, una lega metallica molto resitente e che non conduce calore. Mi colpì particolarmente la sua “picca”, sicuramente antica, che lui disse appartenere alla sua famiglia da generazioni e di cui si mostrò molto orgoglioso.  Non era certo uno strumento di lavoro ma una vera e propria arma da guerra: un martello d’arme a becco di corvo, che i Nani Guerrieri utilizzavano nel combattimento ai ferri corti e nel corpo a corpo. Ai nani, oggi,  non è più permesso portare armi con sé e io, in qualità di ufficiale imperiale, avrei dovuto sequestrarglielo; ma era molto simpatico e il suo buon umore mi aveva contagiato. Lo lasciai andare, raccomandandogli semplicemente di camuffare il martello, coprendolo con un cencio. I Nani  non sono più guerrieri da secoli, da quando l’imperatore Brevalaër Erondàr sconfisse definitivamente le forze insorgenti di Narohk il Forte e di Koulm “Maglio di Pietra”, in una serie di epiche battaglie lungo le pendici dei monti del Suprelurendàr settentrionale. I Nani, vinti, dovettero smantellare le loro armate e fare giuramento solenne di non sollevarsi mai più in armi contro l’Impero. Come gesto di magnanimità e riconoscenza, Brevalaër concesse loro il monopolio imperiale degli scavi sotterranei per le estrazioni minerarie. Decisione poco lungimirante, secondo alcuni. Oggi, il Sindacato dei Nani Minatori, diffuso in tutto l’Erondàr, è un’organizzazione più potente degli eserciti dei Nani Guerrieri dei secoli passati, meglio organizzata delle Falangi di Narohk e ben più temibile del maglio di pietra di Koulm.

lunedì 1 luglio 2013

La cattura dei Rhoyiik.



La prima volta che m’imbattei nei cacciatori dei Sēnlinderhén (il Popolo delle grandi foreste del Suprendàr), non compresi perché si ostinassero a dare la caccia ai grossi e feroci Rhoyiik, uccelli carnivori alti più di tre metri e con artigli che potrebbero facilmente sventare un cavallo. La loro carne è dura e fibrosa e mantiene un pessimo sapore con ogni tipo di cottura; le loro piume lanuginose non sono adatte per fabbricare vestiti, cosa che poi al popolo delle foreste non serve, vivendo in giungle umide e calde. Non capivo perché questi intrepidi cacciatori organizzassero faticose e pericolose spedizioni nell’inospitale Er’el Atant’ar (“il Martello del Sole”), l’immenso deserto che si estende a sud nel Vhâcondàr, alla ricerca di questi giganti dal pessimo carattere. Ne capii il motivo quando soggiornai per un paio di lune presso i Wajeeh, una tra le più amichevoli tribù dei Sēnlinderhén. In realtà essi non uccidono i Rhoyiik ma catturano gli esemplari maschi sui dieci/dodici anni di età, addormentandoli con frecce intinte nel succo di bacche “portasonno”, come le chiamano loro. La pelle dei Rhoyiik è così spessa e i loro muscoli così duri che i dardi dei cacciatori feriscono l’animale solo superficialmente, dando però modo al sonnifero di agire efficacemente. Una volta portati nel Suprendàr, il caldo umido della giungla, così diverso dal caldo secco del deserto, addolcisce i Rhoyiik che possono essere addestrati e utilizzati come cavalcature. Così come per i grandi pachidermi dei Regni Meridionali, non vale la pena catturare i Rhoyiik  da cuccioli e allevarli per un decennio e oltre, in attesa che diventino abbastanza robusti da poter essere cavalcati; è molto più conveniente catturarli in età adulta e addestrarli, considerando che un esemplare in buona salute può raggiungere facilmente i trenta anni di età. I Wajeeh hanno da molte generazioni intrapreso un fiorente commercio con le satrapie berbere del Vhâcondàr, a cui forniscono corsieri perfettamente addestrati, infaticabili e terribili nelle battaglie campali. Ricordo che, quando i Wajeeh mi fecero montare uno dei loro Rhoyiik, nella giungla venimmo attaccati da un giaguaro che avevamo involontariamente disturbato; la mia cavalcatura lo fece a pezzi con gli artigli e il becco, senza darmi nemmeno il tempo di estrarre la spada!

venerdì 3 maggio 2013

La Lame Erranti.


Pur essendo un luogo estremamente spiacevole da visitare,  l’immenso deserto di Er’el Atant’ar, “il Martello del Sole”, che si estende in quello che l’Impero chiama Vhâcondàr, il “paese vuoto”, ospita meraviglie della natura che difficilmente si possono trovare altrove. Tra le più sorprendenti vi sono certamente le “Lame Erranti” che io ho incontrato diverse volte durante le mie missioni come scout imperiale. Si tratta di enormi rocce piatte di pietra nera, lucida e dai bordi taglienti, che fluttuano a mezz’aria a volte da sole, a volte in larghi gruppi. Hanno l’aspetto di vele nere rovesciate e, la prima volta che le vidi in lontananza, le presi per i Carri della Sabbia delle feroci popolazioni nomadi che fanno la spola tra le oasi che punteggiano il deserto. Nessuno, in tutto  l'Er’el Atant’ar, sa come si siano formate o da dove vengano e nessuno sa quale magia le faccia fluttuare e spostarsi lungo itinerari che mutano continuamente, secondo i capricci dei khame. Esse si muovono pigre attraverso il deserto piatto e roccioso, evitando le grandi distese delle dune di sabbia, mosse da forze misteriose che si celano nella profondità della terra. Con i loro vertici appuntiti solcano leggere la terra,  tracciando interminabili linee sinuose che si intrecciano tra loro e creano dei fantastici disegni  sul terreno. Accade a volte, senza alcun preavviso, spesso quando si sono radunate in grande numero,  che esse prendano velocità e sfreccino tutte in un’unica direzione, facendo fischiare l’aria e producendo un suono udibile a decine di miglia di distanza. Quando le Lame corrono, dicono gli abitanti del deserto, nessuno osa sbarrare loro il passo. Si narra che l’antica civiltà dei Re della Sabbia sia crollata quando la loro capitale, la leggendaria Er’al Sauant’al, “la Sposa del Sole”, venne rasa al suolo in una sola notte dal passaggio di un numero incalcolabile di Lame lanciate in una cieca e furiosa corsa verso il nulla. Non so se quella storia sia vera o solo leggenda, ma io ebbi la mia personale esperienza del devastante passaggio delle Lame durante un bivacco notturno, sull’altopiano roccioso a sud dell’Ir’Elerki. Fui svegliato dal suono delle lame che fendevano l’aria, le sentii arrivare molto prima di riuscire a vederle; il fischio che producevano avanzando nell’oscurità era terrificante e per un momento mi ricordò il terribile stridio del Legno dei Guerrieri, il flauto che i Figli di Olhim suonano prima di lanciarsi in battaglia, per seminare il panico tra le file nemiche. La mia guida ed io avemmo appena il tempo di trascinarci con le nostre cavalcature su un’alta duna di sabbia, dove saremmo stati al sicuro; le Lame sbucarono dall’oscurità sfrecciando sotto i nostri occhi a una velocità stupefacente. Non ho idea di quante fossero quelle figure nere che mi correvano davanti, a me sembrarono centinaia; centinaia di gigantesche lame nere illuminate solo dal debole chiarore delle stelle. Il loro passaggio fu breve, pochi minuti che a me parvero eterni. Mentre osservavo attonito la devastazione della loro corsa, pensai che la leggenda della caduta di Er’al Sauant’al avrebbe anche potuto essere vera e mi sorpresi a cercare di immaginare il cieco terrore degli abitanti della “Sposa del Sole” durante quella terribile notte, in cui i khame vollero lanciare le Lame contro la  città addormentata.

giovedì 18 aprile 2013

Gli Impuri


Mi imbattei in questo cadavere lungo un impervio sentiero sul Kârss, nel Margondàr orientale, duecento leghe circa a sud di Solian. La sua pelle era bianca come il sale ed era privo di alcuni particolari anatomici; non sembrava umano ma neppure appartenere a qualcuna delle razze conosciute che popolano l’Erondàr. Era sicuramente un guerriero; il fisico possente, la strana arma che impugnava e l’equipaggiamento suggerivano che si trattasse di un membro di una gilda di sicari. La freccia che lo aveva ucciso apparteneva a una delle tribù di Ghoul che abitano le cavità carsiche di quelle montagne. Il veleno in cui la punta era intinta non lascia scampo. Mi colpì particolarmente il suo unico occhio, una piccola pietra bianca e liscia che gli era stata innestata con un’operazione chirurgica. Particolare raccapricciante, il cappuccio di pelle che gli copriva la testa e il volto gli era stato cucito direttamente nella carne, probabilmente a seguito di una terribile cerimonia di iniziazione. Questo mi fece tornare in mente i racconti di Alben sulle antiche gilde degli Impuri, mercenari che fornivano i loro oscuri servigi al miglior offerente. Essi – mi raccontava l’anziano mago - si nutrivano del sangue degli Abominii e da esso traevano terrificanti poteri. Erano dediti alla negromanzia e alle oscure arti del “Combattimento di Tenebra” e vivevano in famiglie i cui membri si accoppiavano tra loro per non disperdere i poteri. Ciò causava, spesso, la nascita di mostri che però compensavano i difetti fisici con un costante aumento dei poteri magici. Alcuni di loro sembravano addirittura in grado di varcare il confine del reale per entrare nell’Inframondo e muoversi attraverso le pieghe dello spazio. Decenni fa, i Luresindi avevano scovato, per conto dell’impero, tutte le famiglie degli Impuri e annientato i loro membri fino all’ultimo… o almeno così dicevano i rapporti dei Custodi della Luce. Quel corpo inerte e muto era lì a smentire la versione ufficiale dei fatti.

domenica 24 marzo 2013

Il Popolo delle Rupi.


L’impero erondariano si estende verso ovest fino alla grande catena montuosa del Suprelurendàr, oltre la quale cessa la terra ferma e si apre l’infinita distesa d’acqua del Halwéshùre. I monti del Suprelurendàr cadono a picco nell’oceano occidentale, creando vertiginose scogliere che sembrano non avere fine e che non lasciano spazio a spiagge, baie o a qualsiasi approdo naturale. Per centinaia di leghe, da sud a nord, dalla città di Nedvian fino al regno di Raghnar, ultimo baluardo occidentale sul Vallo,  l’occhio vede solo enormi faraglioni  e altissime pareti di roccia modellata dalla furia dei venti e consumata dall’incessante moto delle onde. Sembra incredibile che vi possano vivere delle persone ma è proprio qui, in questo mondo verticale abitato da milioni di uccelli marini, che vive e prospera il Popolo delle Rupi.  Visitare questa gente, fiera della propria indipendenza ma ospitale con gli stranieri, è un’esperienza che non si dimentica facilmente; case, villaggi e intere città sono scavate nella durissima  roccia delle scogliere, che si lascia appena intaccare dalla mano dell’uomo, e si affacciano spaventosamente sull’abisso, lasciando i loro abitanti a penzolare su cime, carrucole e lunghissimi ponti di corda che si muovono continuamente, spinti dai venti marini. È sbalorditivo osservare i bambini, anche quelli di pochi anni, muoversi agilmente su precarie passerelle sospese nel vuoto, senza dare alcun segno di paura o di vertigini. Qui nessuno cade, nessuna cima si spezza, nessuna casa si stacca dalla roccia e precipita nel mare. Questo almeno fino a quando non vi facemmo visita Gmor ed io, per una missione esplorativa imperiale. Il mio povero amico orco fracassò tante di quelle passerelle di legno e disfece un così gran numero di ponti di corda che dovettero costruire una via ferrata apposta per lui, da allora chiamata “la via di colui che schianta i ponti”.

venerdì 1 marzo 2013

Il Dio sorridente.



“Il Grande Dio che sorride”. Così i nativi chiamano questa gigantesca statua di cui solo parte della testa emerge dalle acque di un profondo lago vulcanico incastonato tra i monti del Suprendàr  settentrionale; queste sono terre isolate dall’Erondàr, a sud della grande catena montuosa del Margondàr e subito a nord delle estese e inesplorate foreste meridionali, che poi scompaiono per lasciare il posto alla rovente distesa di sabbia del Vhâcondàr, l’immenso “paese vuoto” che separa l’Impero dai favolosi Regni Meridionali. Si tratta delle vestigia dell’antica religione di una civiltà ormai perduta, che prosperò in un tempo remoto in cui gli uomini veneravano gli Antichi Dei e questi calcavano la terra dei mortali; prima che il khame morea, la “via degli spiriti”, si imponesse come unico credo e religione ufficiale dell’impero. Ci sono innumerevoli storie attorno a questa statua; alcuni indigeni dicono che gli Antichi la edificarono in una profonda gola dove si gettava un fiume, bloccandone prima il corso e poi lasciando che le acque colmassero l’abisso, immergendo quasi completamente il “Dio”. Altri sostengono che la statua inizialmente fosse tutta all’aria aperta e che essa sprofondi nell’acqua  a un ritmo di poche braccia ogni lustro. Un giorno, essi dicono, il benevolo sorriso del Dio verrà coperto  e resterà solo il suo sguardo freddo e impenetrabile. Sarà allora che il “Dio” si desterà, lascerà il suo sepolcro liquido e ritornerà a percorrere il mondo degli uomini. Nel frattempo, i giovani locali lo usano come piattaforma per i loro tuffi acrobatici e l’antico Dio sembra sorridere divertito dall’allegro schiamazzo che lo circonda.

mercoledì 16 gennaio 2013

Il Vecchio Elfo e la Grande Thruda.


Il Vecchio Elfo e la Grande Thruda per me sono sempre stati materiale da storie per bambini. “Bambini sciocchi”, ci diceva nostra madre che, per questo, non ha voluto mai raccontarci del vecchissimo elfo che vaga senza sosta sulle montagne dell’Erondàr a cavallo di un’enorme tartaruga, senza mai fermarsi nemmeno per dormire o mangiare. Grazie ai khame,  la nostra balia Nanée, che si prendeva cura di me e Myrva durante i frequenti e lunghi viaggi di studio di nostra madre, amava le “storie della buonanotte” e non perdeva occasione per raccontarci qualche leggenda popolare prima di metterci a letto. Così io venni a conoscenza della storia dell’elfo nero, un vagabondo senza nome e senza patria, condannato da un’antica maledizione della sua gente a percorrere le catene montuose dell’Erondàr, senza meta e senza riposo, sul dorso di un’assurda cavalcatura che, invece, ha un nome: la “Grande Thruda”, un’enorme bestia che, dice la leggenda, era già vecchia quando l'Impero era giovane. Il Vecchio Elfo non rivolge la parola a nessuno ma si dice che accetti le offerte di cibo e bevande e, se ti tocca con la pietra bianca posta sulla punta del suo bastone, puoi avere una fugace visione del tuo futuro. Una benedizione o una maledizione, a seconda di cosa si riesce a vedere attraverso il breve spiraglio che si apre nelle nebbie del tempo. La storia per bambini sciocchi di Nanée divenne inaspettatamente realtà qualche anno fa, quando incrociai la vecchia coppia al valico di Agerkhunde, nel Suprendàr occidentale.  Mi attraversarono la strada con maestosa lentezza, sbucando da una fitta foresta di pini per dirigersi poi verso la cresta rocciosa che sovrasta il passo. L’elfo sembrava effettivamente molto vecchio, la sua lucida pelle era nerissima e aveva una lunga barba candida che sembrava risplendere in contrasto con il suo corpo scuro. Restando fedele alla leggenda, il Vecchio Elfo non proferì verbo; si limitò, quando tirai fuori il mio quaderno di viaggio per fare un veloce schizzo, a lanciarmi un sguardo penetrante con un‘espressione di profonda irritazione che ho reso solo parzialmente in questo ritratto.