Il Vecchio Elfo e la Grande
Thruda per me sono sempre stati materiale da storie per bambini. “Bambini sciocchi”,
ci diceva nostra madre che, per questo, non ha voluto mai raccontarci del vecchissimo elfo che vaga senza sosta sulle montagne dell’Erondàr a cavallo di un’enorme
tartaruga, senza mai fermarsi nemmeno per dormire o mangiare. Grazie ai khame, la nostra balia Nanée, che si prendeva cura di
me e Myrva durante i frequenti e lunghi viaggi di studio di nostra madre, amava le “storie della buonanotte” e non perdeva
occasione per raccontarci qualche leggenda popolare prima di metterci a letto. Così io venni a
conoscenza della storia dell’elfo nero, un vagabondo senza nome e senza patria,
condannato da un’antica maledizione della sua gente a percorrere le catene
montuose dell’Erondàr, senza meta e
senza riposo, sul dorso di un’assurda cavalcatura che, invece, ha un nome: la “Grande
Thruda”, un’enorme bestia che, dice la leggenda, era già vecchia quando l'Impero era giovane. Il Vecchio Elfo non rivolge la parola a nessuno ma si dice che accetti le offerte di
cibo e bevande e, se ti tocca con la pietra bianca posta sulla punta del suo
bastone, puoi avere una fugace visione del tuo futuro. Una benedizione o una
maledizione, a seconda di cosa si riesce a vedere attraverso il breve spiraglio
che si apre nelle nebbie del tempo. La storia per bambini sciocchi di
Nanée divenne inaspettatamente realtà qualche anno fa, quando incrociai la vecchia coppia al
valico di Agerkhunde, nel Suprendàr
occidentale. Mi attraversarono la strada
con maestosa lentezza, sbucando da una fitta foresta di pini per dirigersi poi
verso la cresta rocciosa che sovrasta il passo. L’elfo sembrava effettivamente
molto vecchio, la sua lucida pelle era nerissima e aveva una lunga barba
candida che sembrava risplendere in contrasto con il suo corpo scuro. Restando fedele
alla leggenda, il Vecchio Elfo non proferì verbo; si limitò, quando tirai fuori
il mio quaderno di viaggio per fare un veloce schizzo, a lanciarmi un sguardo penetrante
con un‘espressione di profonda irritazione che ho reso solo parzialmente in
questo ritratto.