mercoledì 16 gennaio 2013

Il Vecchio Elfo e la Grande Thruda.


Il Vecchio Elfo e la Grande Thruda per me sono sempre stati materiale da storie per bambini. “Bambini sciocchi”, ci diceva nostra madre che, per questo, non ha voluto mai raccontarci del vecchissimo elfo che vaga senza sosta sulle montagne dell’Erondàr a cavallo di un’enorme tartaruga, senza mai fermarsi nemmeno per dormire o mangiare. Grazie ai khame,  la nostra balia Nanée, che si prendeva cura di me e Myrva durante i frequenti e lunghi viaggi di studio di nostra madre, amava le “storie della buonanotte” e non perdeva occasione per raccontarci qualche leggenda popolare prima di metterci a letto. Così io venni a conoscenza della storia dell’elfo nero, un vagabondo senza nome e senza patria, condannato da un’antica maledizione della sua gente a percorrere le catene montuose dell’Erondàr, senza meta e senza riposo, sul dorso di un’assurda cavalcatura che, invece, ha un nome: la “Grande Thruda”, un’enorme bestia che, dice la leggenda, era già vecchia quando l'Impero era giovane. Il Vecchio Elfo non rivolge la parola a nessuno ma si dice che accetti le offerte di cibo e bevande e, se ti tocca con la pietra bianca posta sulla punta del suo bastone, puoi avere una fugace visione del tuo futuro. Una benedizione o una maledizione, a seconda di cosa si riesce a vedere attraverso il breve spiraglio che si apre nelle nebbie del tempo. La storia per bambini sciocchi di Nanée divenne inaspettatamente realtà qualche anno fa, quando incrociai la vecchia coppia al valico di Agerkhunde, nel Suprendàr occidentale.  Mi attraversarono la strada con maestosa lentezza, sbucando da una fitta foresta di pini per dirigersi poi verso la cresta rocciosa che sovrasta il passo. L’elfo sembrava effettivamente molto vecchio, la sua lucida pelle era nerissima e aveva una lunga barba candida che sembrava risplendere in contrasto con il suo corpo scuro. Restando fedele alla leggenda, il Vecchio Elfo non proferì verbo; si limitò, quando tirai fuori il mio quaderno di viaggio per fare un veloce schizzo, a lanciarmi un sguardo penetrante con un‘espressione di profonda irritazione che ho reso solo parzialmente in questo ritratto.