sabato 20 settembre 2014

Religione di Stato

La religione ufficiale  dell’Impero, di cui lo stesso Imperatore è il Sommo Sacerdote, è conosciuta come Khame Morhea, letteralmente le usanze di coloro che stanno sopra” ovvero la Via degli Dei o degli Spiriti. In questo Credo non c’è soluzione di continuità tra il mondo degli Dei e quello degli esseri umani, tra storia divina e storia umana. Khame significa in Lingua Antica “coloro che stanno sopra” e deriva da un termine più antico, “Arkawe”, che indica “ciò che è nascosto, inaccessibile”. Nel Khame Morhea non c’è un dio creatore ed eterno che chiede obbedienza alla sua creatura e la giudica. I Khame sono indifferenziati, non hanno caratteristiche antropomorfe né hanno personalità singole. Quando gli esseri umani muoiono si uniscono ai Khame, e diventano a loro volta “nascosti”, “invisibili”. Alcuni uomini, che si sono distinti nella vita, diventano oggetto di particolare venerazione, anche se l'Impero scoraggia qualsiasi culto personale e reprime ogni forma di religione non ortodossa. Alla radice di questa religione sta l’antico sciamanesimo tribale: in tutte le cose, anche quelle che vengono considerate prive di vita, è presente uno spirito e un senso. Tutte le cose sono piene di spirito, di anima , di nume, di divinità. Un antico detto recita: “Lo spirito dei Khame riempie l’universo, abbracciando ogni cosa”. L’anima è tutta e dovunque. Le cose quindi “sentono”. Negare che le cose sentano perché non hanno occhi, né bocca, né orecchie, è una sciocchezza, simile a quella di chi negasse il moto al vento perché non ha gambe o il mangiare al fuoco perché non ha denti. 
Il mondo degli Dei viene sentito come causale rispetto a quello empirico degli uomini, da qui la necessità di propiziarsi gli dei con preghiere e riti appropriati; e la conseguente necessità di ringraziarli per i favori concessi. Lo sciamanesimo tribale identificava la parte alta dei fiumi come il misterioso mondo dell’aldilà, credendo la forza straordinaria degli Khame scendesse lungo i corsi d'acqua. Risalire questi fiumi equivaleva ad entrare nella zona degli dei. Per questo, fin dall’antichità, vengono celebrate delle feste in prossimità delle sorgenti. Khame Morhea si riferiva al percorso che veniva compiuto lungo i fiumi per risalire la sorgente. Le montagne ricoperte di fitti boschi, tra i quali i fiumi scorrono, venivano considerate abitazioni degli dei e si ritieneva che essi prendessero dimora soprattutto nei grandi alberi. Le montagne, luogo di origine dei fiumi e sedi delle loro sorgenti, erano considerate terra sacra. Gruppi di asceti, gli odinăvouná (“coloro che dormono sulle montagne”) vivono sui monti praticando antichi riti sciamanici misti a rituali di ispirazione esoterica, precedenti il Khame Morhea. 
Esistono pochi grandi templi, chiamati khamedhome, “dimora degli Dei”; molto comuni sono invece i khamedevĭ, i “luoghi degli Dei”, alti pali di legno o canne di bambù ornati da larghe strisce di carta lasciate sventolare nell’aria. Sono sia offerta ai Khame che segno e luogo della loro presenza. Essi indicano l’accesso a uno spazio sacro (una sorgente, una risorgiva, una pianta secolare). Il fruscio della carta mossa dal vento è considerato come il suono delle parole dei Khame che allontanano i cattivi spiriti e, se ascoltate, purificano l’anima. Quando le strisce di carta si lacerano o si staccano, si dice che i Khame “hanno perso la voce” perché hanno accolto su di loro tutti i peccati e le contaminazioni degli uomini e bisogna quindi sostituirle.
Uno dei riti più importanti della religione di Stato è lo “Sposalizio Celeste” che segna l'inizio del nuovo anno astronomico e viene celebrato quando la luna minore – lo Sposo Rosso – passa davanti alla luna maggiore - La Sposa Bianca – eclissandola parzialmente. Il rito viene officiato nella capitale dall'imperatore in persona, nel grande khamedhome del "Primo e l'Ultimo", sotto le colossali statue del primo imperatore, Vrlam Erondàr, e di quello attualmente regnante, alla presenza dell'intera cittadinanza. 
Nel disegno, sono raffigurati gli abiti cerimoniali del Cancelliere, dell'Imperatore e del Principe suo figlio.

martedì 2 settembre 2014

I Figli di Olhim



La zona a nord del vasto continente dell’Erondàr è una vasta regione montuosa, perennemente coperta da neve e da ghiaccio. L’intensa attività vulcanica e geotermica, però, ha creato ampie zone dove il clima è più mite e dove la fertile terra vulcanica permette una fiorente attività agricola. Le fredde foreste di conifere hanno spesso, al loro interno, un clima più umido e caldo dell’esterno e in alcuni punti, in prossimità di polle di acqua termale, presentano un microclima da foresta tropicale. Su questa alta catena montuosa prospera una popolazione indipendente e pagana, i “Figli di Olhim”, che rigetta il Khame Morhea (la “Via degli Dei”) della religione imperiale e venera Olhim, il Progenitore, il “Primo degli Uomini” - che piantò il Grande Frassino al centro dell’enclave - e la Grande Madre, personificazione della potenza della Natura, forza primordiale in grado di dare e togliere la vita. La società dell'Enclave è rigidamente divisa in chi lavora, chi combatte, chi prega, strutturata in clan stanziali e tribù seminomadi, con un legame intimo e magico con il mondo naturale. I clan sono guidati spiritualmente da sciamani conosciuti come gli "Uomini dell’Albero”. Ogni clan ha, infatti, un bhile, un albero sacro dal quale alcune persone prendono addirittura il nome e da cui si vantano di discendere; esso è la testimonianza vivente dell’esistenza della tribù; di fronte al bhile i membri del clan celebrano se stessi e venerano i loro avi. Gli stessi confini dell'Enclave sono contrassegnati da alberi considerati magici e, nella capitale, sorge un gigantesco frassino sacro, considerato l’asse centrale del mondo. Il guerriero raffigurato nel disegno lo incontrai durante una missione oltre i confini dell'Enclave; una brutta storia che forse un giorno vi racconterò.